Italia, italiani ed italianità sono tre concetti separati tenuti insieme da una sola cosa: il cibo. E tutti, proprio tutti, nel mondo, concordano. Sarà stata questa l’intuizione che ha portato il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ad annunciare, lo scorso primo giugno, che il 2021 sarà l’anno dedicato al rilancio del cibo italiano nel mondo dopo questa terribile pandemia che ha così duramente fiaccato tutto il comparto.

L’Italia, con la sua arte ed i suoi paesaggi, gli italiani, con la loro cultura culinaria e le loro ricette centenarie e l’italianità, quello stereotipo che (fortunatamente) continua ad attrarre i turisti di tutto il mondo nel Bel Paese. Ancora una volta il Governo Italiano, sempre attivo in programmi nazionali ed internazionali per la valorizzazione del Made in Italy, ha investito sul nostro patrimonio agroalimentare, che coniuga l’arte e le bellezze paesaggistiche all’ artigianalità e alla storia.

Dunque, da italiani non possiamo lamentarci della materia prima: prodotti di qualità e bellezza ne abbiamo in abbondanza. Ma siamo in grado di comunicarlo oltre il confine? Siamo abbastanza “contemporanei” da poter raccontare correttamente la ‘tradizione’?

La percezione della tradizione culinaria italiana nel mondo è ancora molto distorta e stereotipata. “Molti turisti si aspettano  di arrivare in Italia e mangiare una pizza stile PizzaHut o gli spaghetti con le polpette”.

Il mondo è affascinato dalle nostre tradizioni, dalla storia che raccontano i nostri prodotti ma, all’estero, tutto questo non viene comunicato.

Le sfide globali per le risorse locali

In sostanza, quello che emerge è l’immagine di un settore nutrito di luci, ma contornato da alcune ombre.

È indubbio il primato dell’Italia nella varietà di prodotti tipici e locali, così come la varietà dei territori portavoce di un peculiare storytelling tra uomo e natura. D’altro canto, è evidente come il riconoscimento degli alimenti tipici attraverso i marchi europei DOP, IGP ed STG non sia, di per sé, condizione sufficiente al successo di mercato degli stessi.

Affinché cibo e vino siano legati dall’immaginario in modo indissolubile a un’area geografica e abbiano possibilità di sopravvivere e competere con omologhi non denominati, si rendono necessarie una serie di condizioni trasversali:

  • la capacità di “fare sistema” per consentire a tante realtà produttive di rompere l’isolamento determinato dal basso peso specifico causato da un’offerta frammentata;
  • la capacità di inserire il marchio DOP, IGP ed STG in una strategia di più ampio respiro, che collochi le qualità peculiari e il territorio in un posizionamento e un progetto di comunicazione coerenti;
  • la capacità di associare i marchi DOP, IGP ed STG ad eventuali e ulteriori marchi territoriali e brand commerciali che compensino, quando necessario, le carenze comunicative insite nei marchi di qualità europei;
  • la capacità di investire collettivamente in canali e modalità di comunicazione innovativi, come il web e i social media, per consacrare i prodotti tipici in narrative di consumo diffuse, come le case history menzionate testimoniano.

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